L’INTELLIGENZA
ARTIFICIALE:
UNA
QUESTIONE IRRISOLTA
Nell’ottocento e nel novecento le conoscenze scientifiche
si sono andate sviluppando a velocità crescente, tanto
che si è calcolato che le scoperte degli ultimi duecento
anni siano state decine di migliaia di più di tutte
quelle fatte dall’uomo dall’inizio delle civiltà
storiche e cioè durante diecimila anni.
Tale crescita scientifica e tecnologica ha dato luogo alla
rivoluzione industriale dell’ottocento, e, poi, nel
corso del novecento ha cominciato a modificare il modo di
produrre, incidendo sull’intera società umana,
sulla sua organizzazione e sulla sua sovrastruttura ideale,
ovvero sulla sua visione del mondo, sulla sua filosofia. Il
nuovo modo di produrre è caratterizzato dall’utilizzo
sempre più diffuso delle macchine intelligenti che
permettono l’automazione della produzione industriale
di serie che genera volumi crescenti di beni dal rapido invecchiamento
tecnologico. La produzione dei beni va, perciò, ponendosi
in secondo piano rispetto all’importanza della ricerca
applicata che a sua volta discende da quella pura: le ricchezze
si formano con le ricadute tecnologiche delle scoperte scientifiche.
Per effetto di queste continue scoperte scientifiche e delle
loro ricadute tecnologiche e dell’uso dei computer,
le industrie perdono progressivamente le loro connotazioni
ottocentesche, diventando piuttosto dei laboratori di ricerca,
perché devono stare al passo con l’innovazione,
ovvero devono tentare di anticiparla. Viviamo nel tempo della
civiltà post-industriale, nel tempo della civiltà
della informazione e della conoscenza.
In questo nostro tempo le macchine intelligenti sono sempre
più indispensabili non solo nella produzione automatizzata
dei beni di consumo, ma in ogni funzione della società:
dalle comunicazioni ai trasporti, dall’industria dell’intrattenimento
al sistema finanziario, dalla ricerca scientifica ai commerci
e così via, sicché si può dire che non
c’è ormai attività umana che non dipenda
dal loro utilizzo.
Negli anni cinquanta dello scorso secolo, dopo la costruzione
dei primi calcolatori in Inghilterra e in America, nacque
tra gli studiosi una grande discussione sulle potenzialità
e sui limiti dell’Intelligenza Artificiale, sulla sua
definizione, sulla sua natura e sul suo possibile sviluppo.
Questa discussione, però, non è giunta a dare
dell’Intelligenza Artificiale né una definizione
né una spiegazione in termini di filosofia della scienza.
Ciò, in parte, è stato dovuto al fatto che il
problema dell’Intelligenza Artificiale è stato
affrontato ponendo come questione preliminare la piena comprensione
della struttura della mente e quindi la completa decifrazione
del suo funzionamento, la completa trascrizione del suo programma.
Tale presunta necessità di dover definire prima e in
modo esauriente l’intelligenza naturale, rappresenta
un ostacolo poiché l’esame della mente umana
comporta la risoluzione di infinite questioni: sulla conoscibilità
del reale, sulla conoscenza come computazione, sulla struttura
del cervello, sulla natura della coscienza, sulla umana creatività
scientifica ed artistica, sugli istinti, le pulsioni e le
emozioni, sull’armonia matematica del mondo, sull’origine
della vita e dell’anima, sul principio antropico, sul
determinismo, sul libero arbitrio, e così via.
Intorno a molte di tali questioni i filosofi hanno meditato
e discusso sin dal tempo di Platone, ma tali questioni non
riguardano direttamente e non risolvono quella della possibilità
di concepire e costruire una intelligenza non biologica.
Turing, l’autore del Manifesto della Intelligenza Artificiale,
cercò di superare la contrapposizione uomo-macchina
proponendo di usare un test (detto poi di Turing) per il quale
avrebbe potuto essere definito intelligente quel computer
che fosse in grado di dare risposte senza che l’interrogante
potesse capire, in base alle sole risposte, se avesse di fronte
o no un essere umano. Gli studi di Turing per costruire una
macchina che elaborasse come una mente umana non erano volti
a “ricostruire” un intero cervello, non erano
tesi a realizzare una specie di clonazione uomo-macchina.
Si trattava invece di enucleare i formalismi, la sintassi,
gli algoritmi, la procedimentalità del pensiero umano,
insomma la filosofia cognitiva della mente dell’uomo.
Infatti anche l’azione del conoscere può essere
considerata come un processo naturale e può, perciò,
può essere studiata scientificamente, proprio come
si studia un processo naturale. Questo studio porta al risultato
di ridurre la distanza tra la realtà fisica, da un
lato, ed entità come la mente e il pensiero, dall’altro
lato, e decifrano nel contempo il formarsi dei processi cognitivi.
Sotto questo punto di vista la decisiva, rivoluzionaria, idea
di Turing fu quella che si potesse enucleare dal sistema semantico
mentale, la sua parte sintattica e procedimentale per riscriverla
ed esternalizzarla nella macchina. In questo senso, secondo
il paradigma di Turing, l’Intelligenza Artificiale sarebbe
stata una costola filosofica della mente e dei suoi programmi
cognitivi.
Malgrado la proposta del test di Turing, l’idea della
contrapposizione, della diversità e della irraggiungibile
superiorità della mente rispetto alla macchina non
è stata del tutto superata.
I punti sui quali si insiste per negare una relazione o una
contiguità tra uomo e macchina sono la centralità,
la unicità e la separatezza assoluta della mente e,
quindi, la presunta irripetibile eccezionalità della
intelligenza biologica.
Ponendosi in questa ottica molti studiosi non tengono presente
il fatto che non tutto ciò che è “psichico”,
ovverosia non tutto quanto avviene all’interno della
mente quale stanza di compensazione tra stimoli, elaborazioni
e risposte, coincide con le procedure per conoscere la realtà.
Accanto alla struttura della mente volta a conoscere, c’è
tutta l’altra struttura volta a vivere, sopravvivere,
riprodursi; volta a generare impulsi, sentimenti, emozioni,
stati d’animo, affetti; volta a creare forme d’arte,
pure astrazioni, miraggi, fantasie, sogni….
Le più recenti indagini sull’evoluzione della
mente ne metto-no in luce, sempre più, i legami strutturati
e scambievoli col mondo. Nell’ambito di tali legami
col mondo, la pulsione a conoscere ha indotto lo sviluppo
dei formalismi cognitivi. Estrapolando, esternalizzando tali
formalismi è stata realizzata l’Intelligenza
Artificiale. Un’intelligenza, dunque, quella delle macchine,
che non coincide con l’intera struttura della mente,
ma coincide con la sua filosofia, con il suo “amore”
per la conoscenza.
La mente dell’uomo è l’ultimo e più
avanzato prodotto dell’evoluzione, in essa sono contenute
le stratificazioni di una storia durata miliardi di anni.
L’entità della sua complessità è
pari alla quantità di tempo che è stata necessaria
per giungere al suo sviluppo.
All’interno della straordinaria complessità della
sua mente, la specie umana ha definito formalismi per conoscere
la realtà, formalismi che ne rappresentano il raffinato
strumento cognitivo che permette la conoscenza della realtà
oggettiva.
Nella macchina di Turing vengono trascritti, esternalizzati
tali formalismi che sono la parte cognitiva della mente, ma
non anche tutta l’altra parte della psiche: quella etica,
quella emotiva, artistica, creativa.
Taluni sostengono che ogni forma di intelligenza deve essere
caratterizzata anche dalla eticità, dalla emotività
e dalla autoconsapevolezza. Una capacità elaborativa
artificiale e inconsapevole non sarebbe definibile intelligente.
Una capacità cognitiva soltanto procedimentale e computazionale
senza sentimenti, senza moralità e senza coscienza
di se non potrebbe essere ritenuta intelligente.
Al riguardo Turing aveva osservato, negli anni cinquanta,
che si ha coscienza di sé senza poter sapere o senza
poter verificare se tale coscienza esista anche negli “altri”,
ovverosia nelle altre persone. In tal modo Turing esprimeva
la sua convinzione che il problema della coscienza non riguarda
in realtà il problema del se possano darsi macchine
intelligenti. Per Turing costruire le macchine intelligenti
non significava costruire automi antropomorfi, robot simili
anche emotivamente all’uomo, non sottoposti all’orologio
biologico e, quindi, immortali, ovvero -al contrario- programmati
per “vivere” soltanto pochi anni con memorie impiantate
artificialmente di normali esistenze, ovvero capaci di replicarsi,
di accoppiarsi, di innamorarsi e così via, come per
lo più trattano l’argomento la letteratura o
la cinematografia fantascientifica.
Certo i robot, l’automazione della produzione industriale,
gli apparati telematici e insomma tutte le infinite applicazioni
di parti di Intelligenza Artificiale disseminate nell’intera
organizzazione della società della conoscenza e della
informazione, sono “pezzi” del sistema delle macchine
intelligenti, ma presi nella loro singolarità funzionale
non ne costituiscono l’essenza cognitiva e la loro descrizione
non risolve la questione della definizione.
Tutte le molteplici applicazioni, definibili specifiche o
ristrette, della Intelligenza Artificiale, sostitutive dell’inter-vento
dell’uomo, dimostrano la sua indispensabilità
per il funzionamento della nostra società, ma non la
definiscono.
Taluni futurologi sostengono che lo sviluppo della Intelligenza
Artificiale porterà alla fine della società
umana ed alla nascita di quella delle macchine. Si verrebbe
a formare un mondo abiologico descritto come desolato, mostruoso,
e slegato dalla struttura cognitiva dell’uomo e dai
suoi principi morali. Ma questa catastrofica previsione si
pone contro la regola che è a base dell’esperimento-vita
sul pianeta, regola che è quella dello sviluppo della
complessità armonica della struttura biologica in modo
sempre funzionale al successo dello stesso esperimento-vita.
Dunque tutte le varie discussioni intorno alla Intelligenza
Artificiale non si rifanno alle sue origini culturali e non
contribuiscono alla sua possibile definizione da un punto
di vista epistemologico. E’ un fatto che gli studi sulla
Intelligenza Artificiale hanno omesso di rintracciarne la
storia e, di conseguenza, non hanno ricostruito la lunga ricerca
che ne ha posto le basi logico-matematiche ed hanno trascurato
i suoi caratteri para-biologici, ovvero il suo far parte dello
sviluppo evolutivo del progetto-vita.
La conseguenza di questo mancato approfondimento è
che non c’è una consolidata, una accettata definizione
della Intelligenza Artificiale, e ciò malgrado che
nelle Università di tutto il mondo sia oggetto di studi
da vari punti di vista all’interno di varie discipline.
Gli epistemologi hanno in sostanza trascurato l’Intelligenza
Artificiale considerandola un aspetto della matematica applicata
(oltre che della fisica applicata e dell’ingegneria)
e, quindi, la hanno assegnata a universi pragmatici che non
necessitano di indagini speculative.
In modo sbilanciato, nello stesso tempo in cui trascuravano
l’Intelligenza Artificiale, gli studiosi dedicavano
la loro attenzione quasi esclusivamente alla ricerca pura
in genere, ovvero alla filosofia della biologia o della matematica,
alla fisica quantistica o alle teorie di Einstein e così
via, e all’impatto di tali epocali scoperte sui paradigmi
scientifici tradizionali. Questo sbilanciamento di attenzione
è sorprendente. Basti considerare come la diffusione
delle macchine intelligenti in ogni ambito della società,
così come in ogni momento della vita individuale, stia
modificando profondamente, quanto rapidamente, scale di valori,
stili di vita e modelli comportamentali che si erano sedimentati
a partire dalle prime civiltà storiche.
La mancanza di ricerche volte a dare una definizione della
Intelligenza Artificiale è, forse, dovuta, secondo
quanto già riteneva Turing, al fatto che l’incontro
della civiltà umana con le macchine intelligenti causa
un disorientamento filosofico ed una crisi di identità
culturale.
Analogamente ad altre scoperte che hanno profondamente modificato
la visione del mondo come quella eliocentrica copernicana
o come quella evoluzionista darwiniana, la costruzione delle
macchine intelligenti sta inducendo una riconsiderazione del
rapporto mente-mondo.
Vengono messi in discussione taluni radicati convincimenti
psicologici e culturali di tipo autoidentitario, come la concezione
di ciò che è l’uomo, di quale è
la sua origine e la sua collocazione nel mondo e così
via.
Tra questi radicati convincimenti messi in crisi c’è
quello concernente la natura della nostra mente, che sarebbe
una res cogitans, assolutamente separata dalla materia, dalla
res extensa.
Chi ritiene che la mente sia qualcosa di unico e di separato,
ritiene anche che la sua origine e la sua essenza dovrebbero
essere oggetto di studi di metafisica, e non già di
biologia, fisica, paleontologia, antropologia, epistemologia,
logica, matematica, etologia, psicologia, linguistica, ecc.
Lo studio interdisciplinare della relazione tra intelligenza
biologica e intelligenza artificiale, per altro, nulla pone
e nulla stabilisce sull’origine della vita e sulla sua
presenza nel nostro pianeta e, quindi, indirettamente sull’origine
anche della mente dell’uomo.
Tale origine, sia essa terrestre ovvero cosmica (secondo ipotesi
esobiologiche), resta avvolta nel mistero.
Eppure malgrado questo mistero sull’origine della vita,
il tentativo di definire l’intelligenza, sia naturale
che artificiale, può egualmente essere portato avanti
nell’ambito delle attuali conoscenze scientifiche, quelle
non falsificate, e, quindi, all’interno dei loro limiti
positivi.
Dobbiamo considerare che l’Intelligenza Artificiale
è una nostra invenzione, un nostro prodotto scientifico
e tecnologico, sicché dovremmo essere in grado di definire
qualcosa che abbiamo progettato noi stessi, qualcosa che abbiamo
a lungo pensato, costruito e che stiamo sviluppando con effetti
sempre più incisivi sul nostro modo di essere. Tentare
di comprendere le origini culturali e scientifiche dell’Intelligenza
Artificiale serve per capire il nuovo modo di produrre della
nostra società, legato all’uso delle macchine
intelligenti; ed anche per capire il sistema ideale, che ne
è la proiezione sovrastrutturale, proprio della civiltà
che stiamo costruendo.
Inoltre lo studio della Intelligenza Artificiale e della sua
relazione con la mente porta alla fondazione di una scienza
dell’uomo che ne unifica tutte le espressioni spirituali
e ideali.
L’Intelligenza Artificiale costituisce uno specchio
in cui guardarci, uno specchio virtuale che, rendendo oggettiva
la nostra mente non solo ce ne rivela l’architettura,
ma ci permette anche di ricomprendere la sua parte cognitiva
in una concezione unitaria dei vari aspetti spirituali del
nostro essere uomini al tempo della società della conoscenza.
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